Scritto e illustrato da Stian Hole
edito da Donizelli
Stiamo parlando del vincitore del premio Andersen 2012 per la categoria libri 6-9 anni. L’aspetto è quello di un albo illustrato e le illustrazioni ricoprono in realtà un ruolo fondamentale, perché il norvegese Hole ha sviluppato una tecnica di grande impatto che sintetizza grafica, collage e disegno e ad essa affida senza ombra di dubbio gran parte del potere comunicativo dei suoi libri.
Tutto ciò per dire che con scopi diversi questo libro può essere a nostro avviso proposto anche a bambini di età prescolare. Diversi gli scopi, ma anche gli esiti, devo dire incerti…
Due i livelli di giudizio. Per quanto riguarda le illustrazioni, credo che Hole piaccia molto agli adulti. Io personalmente ne sono affascinata . L’originalità, però, non può essere premiata a priori e, nonostante (sempre personalmente!) io troverei stimolante l’idea di proporre una realtà “mutante”, in cui le cose ritagliate e ricollocate, con proporzioni alterate, all’interno di prospettive oniriche acquistano un significato potenziato (sarà anche lo stile Ikea!), ho appurato che i bambini semplicemente vengono spaventati o disgustati da certe immagini…
Per quanto riguarda la storia, non v’è dubbio che sia ben ritmata. Centrato il punto di vista del bambino e accattivante per il lettore, ma l’obiezione, per nove su dieci, è “Finisce in aria?”. Inutile guidarli a ripercorrere la giornata di Garmann. Non manca nessun passaggio: un “one day plot” da manuale. Un giorno ben definito nella sua unicità (l’ultimo giorno di vacanza) : inizio la mattina, fine la sera. Perché dunque questa ineluttabile sensazione di incompiutezza? Perché al tramonto quando tutto è compiuto e non rimane che aspettare che trascorrano le ultime 13 ore prima dell’inizio della scuola, Garmann ha ancora paura. Tutto quanto è accaduto non ha cambiato la situazione di partenza e questo perché è stato vissuto senza un giudizio adulto. Nessuna speranza, nessun conforto per il piccolo Garmann se gli adulti non sanno giudicare la realtà. Va a vuoto anche il tentativo della zia Borghild (come si pronuncerà?) che pensando alla Morte e al Paradiso dice “…ho paura di lasciarti. Ma il grande giardino potrebbe essere interessante”. Anche il papà ha paura di qualcosa e la madre, ma al momento di accennare a un qualche motivo di speranza uno torna in soffitta a esercitarsi col violino e l’altra rientra in cucina.
Una figura rimane, quella di zia Augusta (questa sì, che si sa pronunciare!), la quale non ha paura di niente, perché è diventata un po’ smemorata e “Chi non ricorda niente, non ha niente di cui aver paura”.