L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo

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scritto da Silvana De Mari

edito da Fanucci

età di lettura dai 12 anni

 Giunge quindi al suo epilogo la saga dell’Ultimo elfo. Per quel primo libro Silvana De Mari, nel 2004, ricevette il premio Andersen, il Bancarellino e un’infinità di riconoscimenti all’estero. Per il sequel “L’ultimo orco”, nel 2005, le fu conferito il prestigiosissimo Premio IBBY (International Board on Book for Young Peolple).

La letteratura fantastica di Silvana De Mari, classe 1953, medico, psicoterapeuta e promotrice di campagne contro l’infibulazione, si solleva di parecchie spanne sul panorama internazionale del genere. Come ella stessa ha avuto modo di affermare, il fantasy riscuote in questi ultimi anni uno straordinario successo perché “contiene qualcosa che ci manca (…) e nel momento in cui il buio esiste e le grandi fiaccole della fede nel progresso e nella provvidenza perdono forza contemporaneamente, da qualche parte bisogna pur cercare di darsi coraggio”.

Nel fosco e spietato mondo rappresentato dall’autrice casertana, i giovani lettori di fantasy possono in realtà anche smarrirsi. Per certo  fanno fatica a trovare i  rassicuranti elementi del genere, soprattutto i toni epici che raramente trovano una giustificazione valida negli ideali “politically correct” e  un po’ posticci, e i personaggi belli, virtuosissimi, predestinati, assolutamente invulnerabili, che si concedono solo qualche incertezza nell’assumere il proprio compito (un po’ di incertezza crea la suspense…), dopo di che vanno dritti verso il loro destino glorioso. In quest’ultimo romanzo di Silvana De Mari, come negli altri, questi elementi non ci sono.

In compenso c’è la rabbia e una solida fiducia nell’uomo, creatura imperfetta e incline alla dimenticanza di sé, eppure segnata da un’originaria positività, che emerge caparbiamente, per quanto soffocata e repressa, nella forma di amore per la Bellezza.

 Poi ci sono i bambini. Tutti i libri della saga partono da una figura di bambino, destinato a diventare adulto pagina dopo pagina, senza fretta però, perché il mondo visto dagli occhi dei più piccoli piace molto alla de Mari, che ha una capacità fuori dal comune di immedesimarsi nel loro punto di vista, di indovinarne la percezione delle cose e di emularne le reazioni e il linguaggio. Gli altri temi sono il dolore, la miseria, la morte, la violenza gratuita e, sommersa da tutto lo squallore del mondo, una forza viva, latente, che preme per emergere e scuote la terra a intervalli: il ricordo di un rapporto con l’Infinito. Ne sono traccia oggetti come una trottola che disegna la spirale aurea o pratiche come la scrittura e la musica o anche l’agricoltura e la pesca, descritte quali attività che legano l’uomo al Creatore, perché gli consentono di continuarne l’opera, conferendogli la facoltà di moltiplicare le ricchezze della terra e delle acque.

La storia inizia nel cuore del popolo barbarico che incarna la dimenticanza, gli Yurdioni, che hanno rinunciato a coltivare la loro umanità e si sono imbestialiti assolutizzando un particolare: la guerra. In mezzo alla loro brutalità spuntano però dei “diversi”, uno in particolare, all’inizio. Personaggi che portano i segni di una discendenza “anomala” nella sillaba finale del nome e in quella trottola ereditata da madri disobbedienti, che manifestano una strana propensione ad affezionarsi ai consanguinei, a stupirsi di fronte alla realtà, a essere curiosi del nuovo e ad apprezzare la bellezza… Questi personaggi, macchioline apparentemente insignificanti nel sordido mondo yurdione, saranno i portatori della rinascita. Sull’altro fronte sta il popolo invaso, allibito, che si era adagiato sul comodo cuscino del quieto vivere, che aveva abbassato le difese e aveva lasciato che altri combattessero contro il nemico considerandolo sempre troppo lontano per preoccuparsene. Anche tra costoro la memoria è stata cancellata troppo facilmente e solo chi a costo della vita ha mantenuto almeno la capacità di leggere, pone ancora fiducia nelle antiche profezie, oltre ad aver conservato la facoltà di saperle interpretare.

In questo mondo, inoltre, i personaggi muoiono. Quando le cose si mettono male, come avverrebbe nella realtà, anche i protagonisti muoiono. Con buona pace di tutti. Perché una vita spesa per salvare la donna che si ama o il popolo cui si appartiene, è una vita compiuta e, pur con gran dolore di chi rimane, può essere restituita.

Qualche parola sulla prosa. Inconsueta: ironica e epica insieme. Intrisa di metafore in tono con il contesto e vivacizzata da un linguaggio spesso molto moderno. Rifugge la suspense o almeno non la cerca spasmodicamente, questo a volte penalizza un po’ il ritmo e spiazza.

Una parola sull’editing: frettoloso. La mia personale sensazione è che il revisore abbia mancato di coraggio o di visione d’insieme, finendo col lasciarsi dietro parecchie ripetizioni e qualche sbavatura nello svolgimento dell’intreccio, che non credo siano volontari, e appesantiscono.

Questa e altre difficoltà credo comunque siano superabili persino da un dodicenne, sullo slancio di una lettura motivata. E credo soprattutto che ne valga la pena.

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