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Fiera del Libro per Ragazzi Bologna ’13

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5CC5FB0C88D0F24B5EE0EA16B8236421Due parole sulla visita lampo fatta anche quest’anno alla fiera del Libro di Bologna sono doverose. In realtà, da Bologna si torna sempre con un certo senso di insoddisfazione, lì alla bocca dello stomaco (e essere al quinto mese di gravidanza, come nel mio caso, non credo c’entri niente!). Molte promesse, forse solo vagheggiate e poi deluse. Perché, quando si parla di libri ci si aspetta sempre che gli eventi si trasformino in occasione di confronto sulle ragioni e la bellezza dello scrivere, sulle esigenze profonde dei lettori, sugli strumenti espressivi, su quanto, in buona sostanza, può appassionare chi  i libri ama leggerli. Tutto ciò a Bologna c’è, sia chiaro (in talune presentazioni con gli autori e con un po’ di fortuna tra gli stand presidiati da editori disposti a confrontarsi sui contenuti e capaci di farlo!), ma comunque in misura decisamente inferiore a ciò che può interessare chi i libri li deve semplicemente vendere! Ecco la ragione per cui come notavamo con un po’ di smarrimento lo scorso anno, la fiera è preclusa ai bambini!

Contavamo di sentir parlare di letteratura per piccolissimi, ad esempio all’incontro organizzato da Nati per leggere e AIB, in realtà in quella circostanza  si è per lo più assistito all’illustrazione di un complesso studio statistico sulle tendenze e i criteri di scelta dei libri, ricavati dall’analisi dei dati relativi ai prestiti bibliotecari. Peggio ll’incontro sull’animazione prodotta da Rai Fiction e “ispirata dall’editoria”, cosa che a differenza di quanto ingenuamente io non avessi sperato, non significa “ispirata dalla letteratura”, ma legata proprio a una compravendita dei diritti su certi preziosissimi marchi tipo Winx, Celestini, Amici Cucciolotti e il solito Geronimo Stilton (rispetto a quest’ultimo, mi piace dire che io apprezzo il cartone nella media dei cartoni per tv, più di quanto non apprezzi i libri nella media dei libri per bambini!). Per farla breve, neanche in questo caso abbiamo avuto modo di dibattere con gli sceneggiatori, di capire come e perché si fanno certe riduzioni (Rai Fiction ne ha fatte di belle di Salgari e addirittura dell’Odissea), ma ci siamo sciroppati la presentazione del palinsesto Rai del prossimo anno. Quindi ecco a voi le anticipazioni (meglio di niente!).

A settembre, i ragazzini siano avvertiti, parte la nuova serie totalmente rinnovata dei Celestini, in digitale, con un effetto 3D ispirato ai videogiochi. Molta più azione, ritmi più dinamici, target più alto. Da un videogioco nascono anche i Linkers, realizzato con la tecnica della motioncapture. Ai maschi dovrebbe piacere…

Per le ragazzine, insieme alla seconda serie di Mia and me (immaginavate che si trattasse di un prodotto italiano? Le scene live sono girate a Roma e la grafica, splendida è realizzata da un gruppo italo tedesco!)  arrivano le Ragazze dell’Olimpo! Avete presente la fortunatissima serie con le tre dee-barbie-adolescenti in copertina? Una sfida alle Winx nel cuore delle nostre figlie, direi di un’età compresa tra i 4 e i 10 anni.

Promettente, invece, anche per quei genitori che preparando la cena si dovessero trovare a guardare i cartoni con i figli, Jules Verne, ovvero le straordinarie avventure del giovane Giulio Verne, strarimaneggiate  e attribuite impropriamente al nostro, che come noto, nella realtà, non si mosse mai dalla sua scrivania… Poco importa. La grafica di altissima qualità, certa cura nella costruzione del plot, nella regia e nello sviluppo dei dialoghi (dal trailer almeno!) fanno immaginare che si tratti di un prodotto accattivante e tutto sommato costruttivo, perché potrebbe davvero incuriosire i bambini e spingerli a andare oltre tuffarsi nei meravigliosi libri in cui il mondo fantastico di Verne ha preso vita…

A Bologna, infine, le anticipazioni dei candidati al premio Andersen, che tenteremo di leggere e recensire per tempo, il solito bazar di illustrazioni (niente che ci abbia colpito particolarmente, complice anche la scarsità di tempo a disposizione) e poche novità editoriali interessanti, di cui daremo ragione in singoli post a seguire.

Riguardo invece alla scoppiettante presentazione dell’ultimo libro di Pierdomenico Baccalario, “Nella Bibbia ho incontrato”, rivelatosi occasione per un “simpatico” attacco all’editoria e alla cultura cattolica, rimando a Tempi.it.

Ali di farfalle

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scritto da Giampiero Pizzol

illustrato da Arcadio Lobato

edito da Fatatrac

Giorni strani, questi. Giorni storici, da ricordare. In cui ai figli bisogna spiegare perché anche un Padre può essere fragile, riconoscere la propria inadeguatezza  e in modo assolutamente inatteso leggere nei propri limiti la volontà di Dio. Perché forse è anche così che il Signore ci parla e chi Lo ama profondamente, chi nella propria vita ha coltivato un dialogo intenso con Lui, riesce a sentire la Sua voce anche in sussurri impercettibili. L’ansia che da mamma avverto è quella di spiegarlo bene ai miei figli, perché per la mentalità comune è facile confondere il “sussurro di Dio” con l’autodeterminazione dell’individuo…

Mi è venuto in mente un libro splendido di alcuni anni fa. Caso volle (ma il Caso non esiste, diceva maestro Oogway!), che me lo sono ritrovato tra le mani proprio domenica. Ali di farfalle di Giampiero Pizzol,  uno dei libri basati sullo sviluppo di racconti popolari, sui quali Pizzol costruisce i suoi spettacoli per bambini.

La storia, illustrata da Arcadio Lobato e edita da Fatatrac, comincia sulla soglia di una fine, ovvero di un nuovo inizio: il diluvio è terminato e proprio sulle ultime gocce di pioggia si forma l’arcobaleno. A Noè, che assiste al disperdersi dei suoi animali, già dimentichi di aver vissuto in armonia sull’arca, Dio affida un nuovo compito: comunicare a tutti gli esseri viventi che nulla verrà perso di ogni loro respiro e che dopo la morte le loro anime saranno accolte in un Paradiso in cui tutti vivranno di nuovo in pace. Portare a termine questo compito che di per sé entusiasma il vecchio Patriarca, si rivela più complesso del previsto. Trovare dei messaggeri efficienti è difficile: le tartarughe, che per il fatto di essere rimaste indietro sembrano destinate ad aiutarlo, sono lente e sorde; gli uccelli che per la loro capacità di volare sembrano i più adatti, riducono tutto in musica gradevole ma incomprensibile; l’asino, che per la sua fedeltà sembra disponibile è invece attaccato a una logica razionalista che lo rende poco credibile. Fin quando il vecchio Noè non prova ad andare lui stesso in giro per il mondo a parlare con gli animali, ma li trova già così immersi ciascuno nel proprio quotidiano, impegnati nel duro lavoro di procacciarsi cibo e gestire il potere che hanno saputo accumulare, da non sentire più il bisogno di conoscere quella notizia straordinaria, da non sentire più il bisogno di sperare…

Noè avverte la propria inadeguatezza e questo lo getta nello sconforto. Fortunatamente, però, non è solo. C’è la moglie, semplice e pragmatica: “Coraggio! Ciò che Dio ha cominciato, Dio finirà!” e c’è il Creato, splendido e perfetto, riverbero di quell’Eternità, di cui lui aveva tentato di parlare. Adesso Noè è finalmente libero, ovvero non sente più il peso del compito, e Dio torna a parlargli: lo fa mostrandogli un nuovo dono, lo strumento che porterà, al suo posto,  il messaggio di speranza in giro per il mondo. Un messaggero leggero e poco rumoroso, che ha nel suo lieve battito d’ali colorate tutto l’incanto dell’Eternità.

Il dono di Natale

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scritto da Grazia Deledda

curato da Raffaella Carnovale, Adriana Rocchi e Annalena Valenti

illustrato da Giovanni Amicone e Isacco Forlani di anni 10

edito da Lindau

età di lettura dai 6 anni

 

Sapori forti, profumi intensi di Sardegna nell’ultimo albo della collana “Grandi avventure seguendo una stella” recentemente inaugurata dall’editrice Lindau. Un racconto di Grazie Deledda che si svolge in una notte di Natale di molti, moltissimi anni fa. Lo straordinario lavoro di editing condotto  ancora una volta da Raffaella Carnovale, Adriana Rocchi e Annalena Valenti rivela una conoscenza profonda di questa terra, la Sardegna, che non è la loro, ma che devono amare parecchio. Con il solito meticoloso lavoro di cesello, le curatrici hanno recuperato scorci, murales, brandelli di merletti e stoffe ricamate secondo la centenaria tradizione locale, documenti di quelle gare di poesia estemporanea che hanno contribuito a consolidare l’originalità della letteratura sarda, dolcetti e simboli grafici. E poi i disegni dei bambini, che della rude forza di questo popolo sembra abbiano colto tutto e immaginano i protagonisti della storia con tratto energico, corposo, lo stupore di chi viene educato ai gesti di pietà e l’ingenua fierezza di chi si lascia determinare dalla gratitudine. La gratitudine per un dono sorprendente: la vita.

 

L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo

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scritto da Silvana De Mari

edito da Fanucci

età di lettura dai 12 anni

 Giunge quindi al suo epilogo la saga dell’Ultimo elfo. Per quel primo libro Silvana De Mari, nel 2004, ricevette il premio Andersen, il Bancarellino e un’infinità di riconoscimenti all’estero. Per il sequel “L’ultimo orco”, nel 2005, le fu conferito il prestigiosissimo Premio IBBY (International Board on Book for Young Peolple).

La letteratura fantastica di Silvana De Mari, classe 1953, medico, psicoterapeuta e promotrice di campagne contro l’infibulazione, si solleva di parecchie spanne sul panorama internazionale del genere. Come ella stessa ha avuto modo di affermare, il fantasy riscuote in questi ultimi anni uno straordinario successo perché “contiene qualcosa che ci manca (…) e nel momento in cui il buio esiste e le grandi fiaccole della fede nel progresso e nella provvidenza perdono forza contemporaneamente, da qualche parte bisogna pur cercare di darsi coraggio”.

Nel fosco e spietato mondo rappresentato dall’autrice casertana, i giovani lettori di fantasy possono in realtà anche smarrirsi. Per certo  fanno fatica a trovare i  rassicuranti elementi del genere, soprattutto i toni epici che raramente trovano una giustificazione valida negli ideali “politically correct” e  un po’ posticci, e i personaggi belli, virtuosissimi, predestinati, assolutamente invulnerabili, che si concedono solo qualche incertezza nell’assumere il proprio compito (un po’ di incertezza crea la suspense…), dopo di che vanno dritti verso il loro destino glorioso. In quest’ultimo romanzo di Silvana De Mari, come negli altri, questi elementi non ci sono.

In compenso c’è la rabbia e una solida fiducia nell’uomo, creatura imperfetta e incline alla dimenticanza di sé, eppure segnata da un’originaria positività, che emerge caparbiamente, per quanto soffocata e repressa, nella forma di amore per la Bellezza.

 Poi ci sono i bambini. Tutti i libri della saga partono da una figura di bambino, destinato a diventare adulto pagina dopo pagina, senza fretta però, perché il mondo visto dagli occhi dei più piccoli piace molto alla de Mari, che ha una capacità fuori dal comune di immedesimarsi nel loro punto di vista, di indovinarne la percezione delle cose e di emularne le reazioni e il linguaggio. Gli altri temi sono il dolore, la miseria, la morte, la violenza gratuita e, sommersa da tutto lo squallore del mondo, una forza viva, latente, che preme per emergere e scuote la terra a intervalli: il ricordo di un rapporto con l’Infinito. Ne sono traccia oggetti come una trottola che disegna la spirale aurea o pratiche come la scrittura e la musica o anche l’agricoltura e la pesca, descritte quali attività che legano l’uomo al Creatore, perché gli consentono di continuarne l’opera, conferendogli la facoltà di moltiplicare le ricchezze della terra e delle acque.

La storia inizia nel cuore del popolo barbarico che incarna la dimenticanza, gli Yurdioni, che hanno rinunciato a coltivare la loro umanità e si sono imbestialiti assolutizzando un particolare: la guerra. In mezzo alla loro brutalità spuntano però dei “diversi”, uno in particolare, all’inizio. Personaggi che portano i segni di una discendenza “anomala” nella sillaba finale del nome e in quella trottola ereditata da madri disobbedienti, che manifestano una strana propensione ad affezionarsi ai consanguinei, a stupirsi di fronte alla realtà, a essere curiosi del nuovo e ad apprezzare la bellezza… Questi personaggi, macchioline apparentemente insignificanti nel sordido mondo yurdione, saranno i portatori della rinascita. Sull’altro fronte sta il popolo invaso, allibito, che si era adagiato sul comodo cuscino del quieto vivere, che aveva abbassato le difese e aveva lasciato che altri combattessero contro il nemico considerandolo sempre troppo lontano per preoccuparsene. Anche tra costoro la memoria è stata cancellata troppo facilmente e solo chi a costo della vita ha mantenuto almeno la capacità di leggere, pone ancora fiducia nelle antiche profezie, oltre ad aver conservato la facoltà di saperle interpretare.

In questo mondo, inoltre, i personaggi muoiono. Quando le cose si mettono male, come avverrebbe nella realtà, anche i protagonisti muoiono. Con buona pace di tutti. Perché una vita spesa per salvare la donna che si ama o il popolo cui si appartiene, è una vita compiuta e, pur con gran dolore di chi rimane, può essere restituita.

Qualche parola sulla prosa. Inconsueta: ironica e epica insieme. Intrisa di metafore in tono con il contesto e vivacizzata da un linguaggio spesso molto moderno. Rifugge la suspense o almeno non la cerca spasmodicamente, questo a volte penalizza un po’ il ritmo e spiazza.

Una parola sull’editing: frettoloso. La mia personale sensazione è che il revisore abbia mancato di coraggio o di visione d’insieme, finendo col lasciarsi dietro parecchie ripetizioni e qualche sbavatura nello svolgimento dell’intreccio, che non credo siano volontari, e appesantiscono.

Questa e altre difficoltà credo comunque siano superabili persino da un dodicenne, sullo slancio di una lettura motivata. E credo soprattutto che ne valga la pena.

Miryam

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scritto da Silvia Vecchini

edito da San Paolo

dagli 11 anni

Devo dire che l’intensità narrativa raggiunta da Silvia Vecchini in questo romanzo, pubblicato nel 2011, mi ha sorpresa.

L’idea di raccontare la storia di Maria calandosi totalmente nel vissuto dell’epoca allo scopo dichiarato (dall’editore almeno!) di comunicare i fatti evangelici ai  più giovani, suscitava in me più che scetticismo: un reale disagio. Immaginavo che una struttura narrativa come quella scelta dalla Vecchini, in cui in ciascun capitolo il racconto è affidato a un personaggio diverso, potesse risultare artificiosa e alla lunga pesante. Questa staffetta di punti di vista differenti passa attraverso occhi noti (quelli di Giuseppe, Gioacchino, Anna), personaggi di pura invenzione (l’amica Lia, Il carrettiere che conduce Maria al paese di Elisabetta), oggetti rituali (la tenda del Tempio e l’acqua delle abluzioni), fino all’asino, cui è affidato il racconto se pur riflesso della nascita di Gesù.

Le mie reticenze sono state presto spazzate via. Dalle prime pagine, infatti la profonda conoscenza da parte dell’autrice del periodo storico in questione, della lingua parlata dai protagonisti e dei loro costumi quotidiani contribuiscono a creare un’atmosfera  assolutamente credibile, in cui è facile essere risucchiati. Presto si impara a seguire le voci narranti, come acrobati esperti che balzano da un ramo all’altro in una foresta popolata da alberi di ogni specie che offrono sullo stesso paesaggio punti di osservazione diversi.

L’esercizio non è fine a se stesso: trasmette l’idea dell’Avvenimento. Un fatto avviene, il Mistero entra nella storia e, come un sassolino caduto in acqua, agita tante sottili onde concentriche: tutti vengono in qualche modo investiti, ma ciascuno reagisce all’impatto in base alla propria posizione e secondo la propria natura, ovvero in base alla propria libertà.

Il vero punto di forza di questo romanzo, che considero una bella prova di maturità da parte della Vecchini, consiste però a mio avviso nel filo rosso che riesce a tracciare tra le pagine (anche graficamente rappresentato!) e che è il rapporto determinante che Maria ha con Dio Padre. Un rapporto di totale abbandono. Di Maria si impone quasi come un urlo che scuote il lettore l’assoluta libertà. Con la stessa dedizione e umiltà con cui tesse il filo di porpora per la tenda del Tempio, per tutta la vita ella conduce un dialogo serrato con Dio, un dialogo che la determina: lei è quel rapporto. Al punto da non temere il confronto dialettico né con il gran sacerdote di Gerusalemme, né con l’arcangelo Gabriele quando va a visitarla. Al punto da astenersi dal prendere iniziative anche quando le cose si mettono male. Al punto che a Giuseppe che riprendendola  con sé le chiede comprensibilmente “Perché non me lo hai detto?”, risponde: “Chi sono io per mettermi tra te e il Signore?”.

Questa stessa dinamica, tutta giocata in un rapporto con Dio è vissuta da Giuseppe. Tanto bruciante da domandarsi  se la ripudierà o no… Eppure sappiamo come va a finire!